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Intervista di Mario De Gaudio alla Prof.ssa Marianne Kleibrink Maaskant



pubblicata sulla rivista della Regione Calabria “Calabria” Ottobre 1999

Intervista di Mario De Gaudio alla Prof.ssa Marianne Kleibrink Maaskant


L’archeologa olandese Marianne Maaskant racconta le ultime sorprendenti scoperte degli scavi di Francavilla Marittima.

Si svela nell’Alto Jonio il mistero della città d’Epeo.

Una città greca ma anche troiana, una polis nella quale coesistevano pacificamente i popoli che s’erano combattuti nella guerra di Troia: è una delle tante incredibili scoperte effettuate negli scavi archeologici a Francavilla, sul litorale jonico consentino. Stanno trovando conferma ipotesi sensazionali, anche quella che vuole proprio qui la misteriosa Lagaria, la città di Epeo, il mitico costruttore del cavallo di Troia. Parla Marianne Maaskant e racconta — denunciando anche difficoltà e incomprensioni — la sua avventurosa ricerca archeologica tutta femminile.Durante lo scavo dal 1963 che si cerca nella Sibaritide il nome d’una città arcaica, esattamente in località Timpone della Motta nel territorio di Francavilla Marittima. Tre archeologhe, Paola Zancano, Maria W. Stoop e Marianne Maaskant portarono in tre successioni, alla luce un luogo di culto dedicato alla dea Athena. Di notevoli dimensioni, l’«Athenaion» era circondato da case degradanti su terrazze affacciatesi sul greto del ruscello Raganello, che convoglia le sue acque fino alla foce dello Jonio. Nelle adiacenze, ma a livello più basso, l’equipe femminile rinvenne un’importante Necropoli con tombe a tumulo di pietre e una lastra di bronzo offerta dall’olimpionico kleombotros alla dea per la vittoria nelle gare di Olimpia. L’interesse salì alle stelle. Purtroppo, per difficoltà economiche, gli scavi vennero interrotti e ripresi nel 1982 della Maaskant con i suoi assistenti e studenti. Marianne è ordinaria di archeologia all’università olandese di Croningen.

La prof.ssa Marianne Klebrink. Sfidando il caldo dei mesi torridi di luglio e agosto, il gruppo rimase sull’acrocoro con una temperatura fino a quarantacinque gradi. Assistenti e studiosi avevano letto a fondo la «Storia» di Strabone e quella di Licofrone, il primo vissuto nel ‘60 a.C., il secondo due secoli prima. Entrambi scrissero del luogo sacro di Lagaria, patria di Epeo, il costruttore del cavallo di Troia. I loro abitanti erano noti per il lavoro di argilla e per l’intarsio del legno, le «pinakee», tavolette votive sportate nell’interland della Sibaritide.

Il legname proveniva dalla foresta di Macchiabate, ove, secondo Licòfrone, sarebbe avvenuto l’incontro tra Epeo e Ulisse per mettere a punto il cavallo, marchingegno della guerra contro Troia. Quanto alla credibilità della storia, c’è sempre la suggestione del mito. «Non corriamo con la fantasia, ammonisce Marianne, ma azzardiamo lo stesso per via di toponimi e coincidenze, per dire sì al ritrovamento di Lagaria, anche se altre località dell’Alto Jonio rivendicano il sito del luogo sacro. Cominciamo intanto con l’approfondimento della conoscenza del popolo indigeno del territorio. Dapprima dagli Enotri, che vissero sull’acrocoro nell’età del ferro e del bronzo. Studiamo anche i rapporti di quella antica popolazione con i fondatori dell’antica Sibari.

Cosa è venuto alla luce nella recente campagna di scavo?
Importanti oggetti databili dal nono all’ottavo secolo avanti Cristo, quasi tutti ex voto e molti utensili domestici come pesi di telaio, alcuni decorati con il motivo del labirinto, fuseruole, ferma trecce, spiraline di bronzo, frammenti di ceramica decorata con motivi geometrici e lo scorso anno due statuine di terracotta della dea in domo.

In domo, vuole spiegarci meglio?
Domo ha il significato di casa che porta al culto della dea, ricorrente nei pinakes e nei fregi dell’Athenaion. La dea porta il peplo raccolto in grembo, come quella descritta dai due storici Strabone e Licòfrone. L’effige era cara ad Ecuba, la moglie di Priamo.

Un culto troiano in un insediamento di coloni greci?
Probabilmente sì. Frammenti di pinakes, provenienti dal Timpone della Motta si trovano nel Museo di Paul Getty aMalibu in California. Le dirò di più. Su alcune tavolette sfilano carri di guerra con fregi troiani.

Come può spiegare questa presenza dardanica in un sito dominato dalla diaspora ellenica?
Il culto di Athena apparteneva ad entrambi i popoli, anche se sconcerta il richiamo alla devozione troiana. Ma è stata rinvenuta anche un’immagine della dea in piedi, la cosiddetta Ellenia, una variante che riguarda l’acconciatura dei capelli e degli indumenti, che sono difformi.

Vuoi dire che a Timpone della Motta coesistevano pacificamente greci e troiani, che si combatterono nella guerra di Troia?
«E probabile, ma siamo sempre nell’ipotesi, suggestiva di certo, che bisogna di essere approfondita. Si cerca di sapere di più delle presenze indigene. Di esse abbiamo testimonianza attraverso oggetti di cui sono ricche le tombe di Macchiabate, il vasto cimitero sottostante il Tempio. Al centro della necropoli, ove insieme alle ossa furono rinvenuti monili e oggetti di culto, e i resti mortali appartenenti forse alla sacerdotessa de l’Athenaion ».

Può suggerire a questo punto una conclusione, se pure tra realtà e fantasia?
Oltre la scienza c’è l’immaginazione, l’istinto più che la razionalità. I profughi della guerra troiana potrebbero essersi integrati con gli Enotri. È bene ricordare che tutta l’area archeologica è carica di toponimi delle due civiltà. Uno dei calanchi che solcano il ventre di Timpone della Motta porta il nome di Dardano, che, come vuole la leggenda, è stato il fondatore di Troia.

Ed ora, che è scesa nuovamente in Calabria può dirmi del suo programma di scavo del prossimo settembre?
Non è allettante. I fondi Europei non arrivano più, contiamo solo sulle magre risorse della Provincia. Eppure ci sarebbe molto da cercare.Le altre capanne di abitazione attorno al Tempio e soprattutto quelle sottostanti che si presume risalgono dall’ottavo al quindicesimo secolo avanti Cristo. Ma c’è sempre il problema della guardiania. Il parco archeologico è stato ripulito dall’Amministrazione comunale di Francavilla, ma dopo? Ora vorrei toccare un altro tasto, che mi mortifica. Non ho la solidarietà di quelli che contano, «in loco». Ad esempio, la direttrice del Museo di Sibari, Silvana Lupino volge altrove lo sguardo verso gli scavi di Trebisacce. E' innamoramento o qualche altra cosa?