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Francavilla Marittima al Museo di Sibari di Franco Liguori



Foto: Aryballoi con l'immagine della Chimera Scavi di Francavilla Marittima, 2005

Francavilla Marittima al Museo di Sibari di Franco Liguori


"Sibari è una patria universale, una leggenda mondiale, un bene dell'umanità intera": così ha dichiarato il sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi nel corso del convegno e della cerimonia di presentazione svoltisi il 13 novembre 2001 nella sede del Museo di Sibari, per la restituzione di cinquemila reperti trafugati dal sito archeologico di Timpone della Motta, in territorio comunale di Francavilla Marittima, a metà degli anni settanta e chissà come finiti nelle vetrine del "J.P.Getty Museum" di Malibù e dell’Istituto di Archeologia Classica dell'Università di Berna (Svizzera). Con Sgarbi, c'erano il soprinten- dente-archeologo della Calabria Elena Lattanzi, la direttrice del Museo della Sibaritide Silvana Luppino, il soprintendente-archeologo degli scavi di Pompei Pier Giovanni Guzzo, il generale dell'Arma dei Carabinieri Roberto Conforti, responsabile della tutela del patrimonio culturale. E, inoltre, il prof. John Papadopulos, del Museo J.P. Getty di Malibu e il prof. Dietrich Willer, direttore dell'Istituto di Archeologia Classica dell'Università di Berna. Numeroso e qualificato il pubblico degli invitati all'importante cerimonia: studiosi, uomini di cultura, politici, amministratori del territorio della Sibaritide. Come è stato giustamente rilevato in tutti gli interventi dei vari relatori, da Vittorio Sgarbi a Pier Giovanni Guzzo, da Elena Lattanzi a Dietrich Willer, quella del 13 novembre 2001 è stata per la Calabria e per il Museo della Sibaritide una giornata storica e indimenticabile, perché ha visto il ritorno nella loro sede naturale di una vasta quantità di preziosi reperti provenienti da uno dei siti più importanti e più fertili di ritrovamenti di tutta la regione, quello di Francavilla Marittima, nel cui territorio fiorì una delle 25 "poleis" assoggettate da Sibari, di cui parla Strabene. Dell'antico insediamento, tra gli ulivi e i cespugli, sono state rimesse in luce le fondazioni di edifici a pianta rettangolare, costruiti con blocchi di pietra. Sull'acropoli (Timpone della Motta) sono affiorati i resti di un grande santuario dedicato ad Athena, le cui testimonianze vanno dal VII al IV secolo a.C. Il santuario di questa divinità, nel quale convenivano sia gli abitanti della non lontana Sibari, sia gli indigeni che ancora abitavano tutt’intorno, non fu istituito "ex novo". La collina della Motta era stata, infatti, sede di un importante centro abitato da Enotri, fin dall’età del Bronzo (Il millennio a.C.). Numerosi sono i depositi votivi dell'area che hanno restituito materiali compresi tra il 730 e il IV sec. a.C.: terrecotte votive, metalli,oggetti d'ornamento e un'enorme quantità di ceramica, d'importazione e locale. Vale la pena ricordare che quando fu istituito il Museo della Sibaritide, nel 1969, il materiale esposto nelle vetrine del piccolo edificio del Consorzio di bonifica, adibito a sede provvisoria del Museo stesso, era costituito in prevalenza dai reperti provenienti da Francavilla Marittima, più precisamente dai siti di T'impone della Motta e Macchiabate. Quei materiali, dal 1996, hanno trovato più decorosa sistemazione nel nuovo museo di Sibari, che custodisce oggi numerosi altri reperti di varie epoche, provenienti sia dagli scavi di Sybaris-Thurii-Copia, sia da tanti altri siti della "chora" sibarita. Ma i reperti del Timpone della Motta custoditi dal Museo di Sibari fin dal 1969, non sono gli unici ad essere stati trovati in quell'importante località archeologica. Molti altri reperti, non meno importanti furono portati alla luce, negli anni settanta, in q[ueì sito, non però in seguito a regolari campagne di scavo controllate dalla Soprintendenza archeologica regionale, ma in conseguenza di vere e proprie "devastazioni" operate clandestinamente da "tombaroli" senza scrupoli, che hanno venduto illecitamente i preziosi materiali trafugati a Francavilla a collezionisti privati o a importanti istituzioni museali straniere come l'Istituto di Archeologia Classica di Berna o il "J.P. Getty Museum" di Malibu (California), sottraendoli in tal modo al territorio in cui erano stati prodotti e al quale appartenevano (la Sibaritide), al Museo che documenta la storia di questo territorio (il Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide) e, soprattutto alla fruizione delle popolazioni locali e elle miglia di turisti, italiani e stranieri, che ogni anno si riversano nella nostra regione, richiamati dal mito e dal fascino della civiltà magnogreca.

Come si diceva sopra, ad accaparrarsi i preziosi materiali scavati clandestinamente sul Timpone della Motta di Francavilla, furono, tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, l'Istituto Archeologico dell'Università di Berna, il Museo Paul Getty di Malibu e il "Ny Carlsberg Glyptothek" di Copenaghen. Al momento dell'acquisizione, naturalmente, non si conosceva la provenienza degli oggetti, anche se la tipologia dei reperti (ceramica, terracotta, bronzi), lasciava facilmente intuire che essi erano pertinenti ad un santuario arcaico della Magna Grecia. Solo a partire dai primi anni novanta, però, in seguito all'attenzione richiamata su questi reperti da alcuni studiosi, si è iniziato a ipotizzare che tali materiali archeologici provenissero dall'area sacra del santuario di Athena sul Timpone della Motta (Francavilla M.ma).
Fu così che nel 1995 il nostro Ministero dei Beni culturali si è fatto promotore della costituzione di un gruppo internazionale di lavoro al quale fu affidato il compito di condurre uno studio comparato dei reperti conservati al Museo Paul Getty di Malibu, all'Istituto di Archeologia Classica di Berna e al Museo della Sibaritide.

Dopo sei anni di approfondite ricerche, alle quali hanno collaborato qualificati studio Motta. In seguito a questa acquisita certezza, il Museo Paul Getty di Malibu e l'Istituto di Archeologia Classica di Berna, hanno deciso di restituire all'Italia i reperti in questione (ben cinquemila) che il 24 luglio 2001 sono stati ufficialmente affidati in custodia al Museo Archeologico della Sibaritide. Iniziativa, questa, veramente rara e degna della massima lode, che è stata unanimemente apprezzata ed elogiata nel corso della manifestazione del 13 novembre u.s. dal sottosegretario Sgarbi, dagli studiosi, dai politici e dai soprintendenti alla tutela e alla salvaguardia del nostro ricco patrimonio archeologico. Con i reperti più belli dei cinquemila pezzi restituiti è stata allestita in una sala del Museo di Sibari una ricca Mostra dal titolo: Offerte alla dea di Francavilla Marittima da Berna e da Malibu . Sono reperti che coprono un arco cronologico compreso tra la fine delI'VIII secolo (coppe di tipo Thapsos) e la seconda metà del VI sec. a.C. (ceramica attica a figure nere). Prevalgono i prodotti corinzi: vasi per bere (coppe) e vasi connessi alla sfera femminile (pissidi), ma anche vasi per versare ("lekythoi" coniche e "oinochoai" a fondo largo) e piccoli contenitori per olii e unguenti profumati ("aryballoi" e "alabastra"). Non mancano i frammenti di ceramica di produzione indigena enotria. Di particolare rilievo sono due frammenti di figura femminile stante, attribuibili al tipo della cosiddetta "Dama Ji Sibari, e una statuetta di divinità femminile - probabilmente Athena - seduta all’interno di un tempietto, proveniente da una collezione privata svizzera.